8 grandi combattimenti di street fighting | L'Ultimo Uomo

2022-06-25 03:57:51 By : Ms. Eileen Bai

Abbiamo cercato su YouTube alcuni dei migliori video di combattimenti a mani nude.

In uno degli ultimi eventi targati UFC abbiamo visto un ex street fighter, Jorge Masvidal, abbattere con una prestazione sontuosa il forte ex sfidante al titolo dei pesi welter Darren Till – più grosso, più dominante, più mediatizzato – dopo un cambio di guardia ed un grande overhand sinistro. Immediatamente il pensiero è andato ai tempi in cui Masvidal faceva a cazzotti nei backyard di Miami, diventando uno degli eroi di strada dei tempi della leggenda Kimbo Slice, battendo, nel suo più celebre incontro, proprio il più famoso allievo di Kimbo.

La vittoria di Masvidal ha riportato la memoria delle MMA indietro di parecchi anni e ci fornisce l’occasione per ricordare quel periodo in cui su YouTube guardavamo video di combattimenti che si svolgevano in rimesse per barche o palestre scalcinate, letteralmente in mezzo al pubblico urlante.

Il mondo dello street fighting è duro e cruento ma non privo di regole. Anzitutto, va accettato consensualmente lo scontro. Negli Stati Uniti la polizia non può intervenire se i partecipanti accettano le condizioni dello scontro, non c’è nulla di illegale (si chiamano mutual combat street fight , gli osservatori non possono intervenire e ovviamente i contendenti non possono danneggiare alcuna proprietà). Nonostante ciò, lo street fighting e gli sport da combattimento non sono che parenti molto alla lontana. Per strada, ad esempio, manca la componente ludica del combattimento che, appunto, è anche un gioco, una partita a scacchi in cui non vince per forza il più forte, ma piuttosto quello che risponde meglio e si adatta nella maniera più giusta al contesto. Per strada conta più che altro mandare a terra il più velocemente e brutalmente possibile l’avversario.

Lo street fighting è stato molto in auge a partire dal 2003, grazie anche all’apporto dell’indimenticato “King of the Web Brawlers” Kevin Ferguson, in arte Kimbo Slice, street fighter ed MMA fighter bahamense. Kimbo, dopo essere divenuto famoso grazie agli street fight, ha intrapreso la carriera nelle MMA (allenato dal pioniere Bas Rutten), collezionando un record di 5 vittorie, 2 sconfitte e 1 No Contest. A inizio carriera Kimbo ha battuto in maniera sorprendente Tank Abbott e James Thompson, non i più forti MMA fighter, ma dei professionisti di lunga data. Ma il match più importante e di livello della sua carriera lo ha combattuto contro Matt Mitrione, perdendo e venendo successivamente tagliato da UFC.

Ha combattuto altre due volte in Bellator, prima della sua scomparsa precoce nel giugno del 2016, vincendo contro Ken Shamrock e collezionando un altro No Contest (a causa dei livelli alti di nandrolone in entrambi gli atleti) contro DADA 5000 – anche lui uscito dal sottobosco dei combattimenti underground.

In questo pezzo, abbiamo scelto di ricordare quel periodo storico scegliendo i migliori video ancora disponibili su YouTube.

(Per una questione d’esaltazione e di coinvolgimento che contribuisca a far digerire bene questo pezzo, consiglio vivamente di avviare su un canale musicale la canzone Street Fighting Man dei Rage Against the Machine)

Uno dei video più famosi del web per quanto riguarda lo street fighting è quello che coinvolge i due street fighter noti come “Afro Puff” e “Big Mac” contro Kimbo Slice, prima l’uno e poi l’altro.

Sin dalle prime battute è chiara l’impostazione stilistica di Kimbo, che sebbene si trovi in un combattimento da strada ha una posa pugilistica classica. Kimbo ha combattuto dei match di pugilato, rimanendo imbattuto, anche se contro avversari minori in match della durata al massimo di quattro round. L’uomo che avanza è sempre Slice, Afro Puff si limita a tentare di schivare i colpi e di attuare dei parry indietreggiando e non tentando praticamente mai di rientrare. Gli scambi a mani nude sono molto pericolosi e basta un colpo per mettere fine alla contesa. Kimbo si abbassa sulle gambe e comincia a puntare Afro Puff con un movimento a pendolo col corpo seguito da overhand e ganci larghi. Il dislivello fra i due è palese, Afro Puff non riesce a centrare Slice, che invece va a segno a piacimento.

Potente, ma non irruento, né dall’impostazione forzata, Kimbo Slice aveva uno stile pulito anomalo nello street fighting, e se consideriamo che avrebbe iniziato ad allenarsi alle MMA soltanto dopo la sua carriera da buttafuori e poi da street fighter, non possiamo non notare come fin da subito in realtà appartenesse legittimamente al mondo del combattimento.

Afro Puff invece non ci apparteneva per niente. Quando comprende che il dislivello è troppo alto, si inginocchia e preferisce – saggiamente – abbandonare la contesa prima di essere abbattuto brutalmente. Kimbo protesta, prova a convincerlo, gli va sotto ma non se la sente di colpire Afro Puff mentre ha le mani in tasca.

Allora, come fosse un videogioco a scorrimento, si fa avanti l’avversario successivo: Big Mac. Un tizio che quanto meno è più pronto e reattivo del suo predecessore – non che ci volesse molto, con tutto il rispetto per Afro Puff, il quale però, va detto, sembrava più giovane di Big Mac ed era abbastanza grosso.

Big Mac però non sembra dotato di una superiorità tecnica evidente, non sembra avere quasi nessuna tecnica, anzi. Ciò però che balza immediatamente agli occhi è la sua voglia di scambiare. Kimbo controlla meglio distanze, non sbraccia e colpisce duro: Big Mac va giù una prima volta, faccia in avanti, con le braccia dritte; si rialza e va giù di nuovo, altre tre volte.

L’incontro finisce e più che l’ammirazione nei confronti dello stile di Kimbo, restano i dubbi su Afro Puff e Big Mac. Chi erano? Che vite avevano? E soprattutto, chi glielo ha fatto fare?

Lo street fighter conosciuto come The Bouncer, di cui ancora una volta non sappiamo niente, tranne forse, a giudicare dal nome di battaglia, che faceva il buttafuori, è un uomo alto 192 cm e pesa ben 136 kg; circa 20 kg in più rispetto a Kimbo. Contro di lui, Kimbo fatica a prendere le misure. The Bouncer indossa una maglietta nera e dei pantaloni mimetici, per tenere fermi i dread usa una fascia arancione. Kimbo invece è a torso nudo, con dei pantaloncini bianchi.

Le distanze si accorciano subito, con The Bouncer che tenta di legare in clinch, cosa che in strada può essere pericolosa se si considera che il suolo non è quello della gabbia ottagonale o del ring, e una bella proiezione può far male. Poi, dopo una prima fase di clinch, i due si separano e il primo colpo ben assestato lo mette proprio The Bouncer: un colpo che sorprendentemente fa cadere Kimbo, pronto però a rialzarsi immediatamente.

Il ritorno di Kimbo è probabilmente il più violento nella sua carriera di street fighting: tenta un single-leg takedown, The Bouncer resiste ma i due finiscono per schiantarsi fra gli oggetti all’interno di quello che sembra un piccolissimo garage; The Bouncer fugge verso l’esterno, ma Kimbo lo insegue e mette a segno un montante che lo fa stramazzare al suolo. Sempre di faccia.

Segue un lungo momento in cui The Bouncer non si muove, la telecamera si avvicina a terra e gli dedica un primo piano ravvicinatissimo, forse il cameraman voleva sincerarsi che stesse ancora respirando. Anche in questo caso i presenti, Kimbo compreso, spronano The Bouncer e lo invitano a continuare la lotta, che resta sdraiato a terra dicendo: “I’m good. I’m good”, nel senso: ok, per me può finire qui.

The Bouncer è a posto così, però si fa manipolare (anche il cameraman gli dice “Non ti preoccupare, non ti sei fatto niente”) e alla fine per qualche ragione torna a combattere. Ma è un fighter poco lucido quello che si fionda su Kimbo, che schiva con movimenti circolari i suoi ganci larghi e lo colpisce ripetutamente al corpo.

The Bouncer cade per la seconda e ultima volta la telecamera indugia su un suo dread caduto a terra nelle fasi di lotta.

Questo è il video più famoso di uno street fighting di Jorge Masvidal. Anche una volta diventato un fighter professionista, Masvidal non ha mai fatto particolare attenzione al peso dei suoi avversari, e ha preso parte ad incontri fra la categoria dei pesi leggeri (-70 kg) e quella dei medi (-84 kg). Insomma è un vero duro, capace di affrontare ogni fighter combattuto in UFC nel campo in cui quest’ultimo si ritiene più forte.

In origine, Jorge Masvidal è diventato famoso con questo incontro con Ray, l’allievo di Kimbo Slice, quello che sarebbe dovuto essere il protagonista del video, che schianta il suo primo avversario, bello grosso, in men che non si dica e poi passa a Jorge Masvidal, decisamente più piccolo e meno pesante.

Masvidal ha un timing diverso dal suo avversario: intercetta i calci frontali di Ray e lo colpisce rientrando con colpi dritti; la sua impostazione è solida, sta davanti al grosso Ray e scambia, ma quando i due vengono a contatto è evidente che Ray ha più forza e potenza di lui. Masvidal lo fa stancare, lo invita a colpire, assorbe bene i suoi attacchi alle braccia e lo sfianca muovendosi in maniera veloce: a volte si fa inseguire, a volte lo pressa mettendolo in seria difficoltà quando deve difendersi.

Masvidal cambia anche spesso di livello, passando dal volto alla figura, schivando i colpi in girata di Ray (abile tecnicamente per essere uno street fighter e davvero molto duro) con uno stile di toccata e fuga, ma quando tocca fa male. Balza subito agli occhi il ritmo sfrenato e forsennato che tiene Masvidal – che nell’incontro con Darren Till ha cominciato saltandogli praticamente addosso e colpendolo inevitabilmente nelle parti intime.

La concezione di Mavidal del combattimento è già molto avanzata, decisamente fuori contesto. Il combattimento non è una passeggiata di piacere per lui, ma non è nemmeno il più duro della sua vita: abbatte Ray inseguendolo e raggiungendolo al volto con ganci molto potenti.

Kimbo Slice però non ha sempre avuto vita facile. Il suo incontro più famoso, anzi, è quello contro Sean Gannon, un ex poliziotto che dopo averlo battuto si guadagnò addirittura un contratto in UFC. La storia è semplice: Gannon, ex poliziotto, sfidò Slice, che accettò dopo essersi allenato per l’occasione con Bas Rutten. Kimbo però non aveva mai affrontato qualcuno che conoscesse così bene tecniche di difesa personale: ginocchiate, utilizzo del grappling; durante l’incontro – lunghissimo, forse anche troppo – Kimbo è andato spesso in difficoltà, aiutato dai membri della sua crew (si distingue un uomo con un cappotto di pelle marrone e una valigetta in mano, a spezzare le prese al collo con cui Gannon immobilizzava Kimbo) fino a che, senza più fiato, è stato costretto alla resa finale.

Nonostante l’onorevole vittoria, Gannon ha assaggiato la potenza di Kimbo (la sua faccia nelle riprese finale né è una testimonianza eloquente) che lo ha attaccato da subito con colpi dritti e montanti corti. Gannon ha cercato di legare dopo aver scambiato per breve tempo, arrivando a una prima guillotine choke che, come detto, è stata sciolta dai componenti della crew di Kimbo, contrari a quel tipo di attacco. E qui siamo costretti a chiederci se avevano parlato delle regole di ingaggio prima di entrare in quella specie di palestra dimessa e combattere.

Grazie alla sua crew, Kimbo riesce ad uscire dalla ghigliottina dopo in un momento di distrazione di Gannon, e parte con una grandinata di colpi in ground and pound che l’ex poliziotto è bravo ad arginare, tornando rapidamente in piedi. Poco dopo Gannon riesce a legare di nuovo e a sfiancare Kimbo con un secondo tentativo di ghigliottina, stavolta dallo stand-up. I due tornano poco dopo alla distanza, ma iniziano a patire la stanchezza.

Gannon continua ad assorbire colpi ed avanzare, ma ormai le braccia di entrambi sono stanche, i colpi sembrano quasi del tutto vuoti di potenza. A un certo punto, con le spalle al muro, Kimbo si abbassa per non subire i pugni dell’avversario e Gannon affonda una ginocchiata, ma i due vengono di nuovo separati.

Alla fine Gannon è una maschera di sangue, ma Kimbo sembra quello messo peggio: è esausto e provato, finisce a terra per sfinimento e Gannon lo finisce in ground and pound. Le due crew intervengono, il combattimento è finito: Kimbo è stato sconfitto.

Phoenix Jones è lo pseudonimo di Benjamin John Francis Fodor, un supereroe americano. Non supereroe così, per dire, ma supereroe davvero , nella vita. Jones è stato anche fighter di MMA, ma è stato soprattutto capo della formazione Rain City Superhero Movement, una crew che dal 2011 al 2014 ha assolto al compito di vigilantes per prevenire il crimine a Seattle. Tutti i componenti della formazione, a detta di Jones, avevano una formazione militare o nelle arti marziali miste.

Phoenix Jones, ovviamente, si è trovato più volte a dover fermare i criminali di Seattle, improvvisando una sorta di street fight ( in un caso particolare , tira per un orecchio un maniaco che stava mostrando i genitali a donne di passaggio gridando “helicopter dick”), sempre vestito da supereroe, con uno scudo che sembra più che altro potergli essere d’impaccio nelle fasi iniziali.

Nel video scelto qui sopra Jones gioca con il suo avversario – un razzista, a quanto pare – con cui aveva trovato l’accordo per avere un mutual fight. La differenza tra un coglione qualsiasi e un fighter preparato è evidente anche in questo caso: Phoenix Jones mette a segno dei leg kick potenti, girandogli intorno ed affondandolo in maniera molto semplice, come se stesse infilando il coltello nel burro. Purtroppo le immagini non sono delle migliori, ma Phoenix Jones meritava una menzione.

Tank Abbott e Scott Ferrozzo sono stati due pionieri delle MMA. Non di certo fra i fighter più forti in circolazione, ma con tanta abnegazione ed il pregio di aver calcato fra i primi il pavimento delle gabbie nelle MMA. Dato curioso: nei primi match in UFC, il manager di Ferrozzo era Bruce Buffer (l’iconico presentatore UFC). Ferrozzo ha battuto Tank Abbott a UFC 11, nel lontano 1996, per decisione unanime dopo un singolo round della durata di ben 15 minuti. Per qualche ragione, i due si sono ridati appuntamento nel retro di una casa nel 2011, con un fuoco sullo sfondo e gente con la birra in mano, non un vero e proprio pubblico, per darsele ancora una volta di santa ragione.

I due, in sovrappeso già durante la propria carriera professionistica, sono al limite dell’imbarazzo fisico, ma nonostante l’età sono ancora pronti a picchiarsi per diversi minuti.

Già dalle prime battute è Abbott ad avere la meglio: sbraccia, ma centra con un gancio il mento di Ferrozzo prima che quest’ultimo raggiunga il clinch. Le gambe di Ferrozzo cedono e Abbott va direttamente in side control per cominciare il proprio lavoro in ground and pound.

La difesa di Ferrozzo non è attiva, il fighter si limita a girarsi sulla schiena e a subire ancora i colpi di un ansimante Abbott per qualche minuto.

È uno spettacolo noioso e a dir poco snervante: Abbott non fa più nulla che possa essere definito “azione”, si limita a schiacciare Ferrozzo che, dal canto suo, non ha le forze per rimettersi in piedi ma a fine ripresa comincia a gridare. “I’m a fucking beast”, aggiungendo che non gli stava male.

La parte finale del video è al limite del ridicolo: Ferrozzo dice di essere imbattibile mentre Abbott finisce a vegetare sulla sua schiena, senza che il primo possa far nulla. L’incontro finisce con una specie di clinch, una boxe molto dirty e delle ginocchiate che probabilmente hanno arrecato danni maggiori alla schiena di chi le ha tirate piuttosto che a chi le ha ricevute. Però, insomma, niente male per due vecchi fighter che volevano ancora provare l’ebbrezza del combattimento.

Gli amanti old school delle MMA probabilmente avranno già visto questo video. Cristiano Marcello è l’ex head-coach del Team Chute Boxe, uno dei team che nei primi anni del 2000 hanno terrorizzato il panorama internazionale delle MMA (con fighter come Wanderlei Silva e Shogun Rua in epoca Pride). Con un record piuttosto modesto nelle MMA – 13 vittorie e 6 sconfitte – Marcello è sempre stato più rinomato come coach di BJJ che come fighter. Ha dato la cintura nera di BJJ a Kazushi Sakuraba, dopo che quest’ultimo iniziò a collezionare le teste dei Gracie.

Ma veniamo a questo incontro di strada, che è praticamente una rissa tra due professionisti, nel backstage di un evento Pride, il 31 dicembre 2005. Bennett aveva appena combattuto contro Ken Kaneko , membro del team Chute, al cui angolo appunto c’era stato Marcello. Bennet stava tranquillamente seduto a guardare il resto della serata, stizzito dalle provocazioni di Wanderlei Silva. Sembra che siano loro due a dover venire alle mani, ma quando Bennett si alza Marcello si mette in mezzo e subisce una carica che termina in un takedown.

Marcello, con tutta la calma del mondo, pone le basi per la guardia, controlla Bennett, che si libera e carica ancora – i membri del suo team, intanto, anziché separarli iniziano a dargli istruzioni. Bennett, soprannominato “Krazy Horse”, cioè cavallo pazzo, resta fedele al suo nome: nonostante sia riuscito a sfuggire alla morsa di Marcello, crede di poter imporre la propria violenza dalla guardia del brasiliano. Pessima idea contro un atleta con un BJJ di quel livello.

Infatti cade preda della trappola del coach, già pronto a settare una triangle choke. Risultato finale: Bennett a terra svenuto dalla morsa, Marcello in piedi senza aver subito un graffio. Bennett si alza e sembra esserci rimasto male, ma questo video ci insegna due cose: anche i professionisti possono peccare di foga e finire nella trappola di un avversario; anche per strada avere un buon “angolo” può fare la differenza.

Dhafir Harris, con il nome di battaglia DADA 5000, è stato lo sfortunato protagonista, insieme a Kimbo Slice, di quello che per molti è stato “il peggior incontro di MMA di sempre”. L’incontro finì per TKO alla terza ripresa in favore di Kimbo, ma il risultato venne poi modificato in No Contest a causa della positività di entrambi gli atleti a sostanze proibite (dopo pochi minuti entrambi i fighter erano esausti ai limiti del ricovero immediato: al termine del match DADA5000 fu ricoverato per un collasso).

Anche DADA5000, come Kimbo, ha iniziato la sua carriera da combattente negli street fight, diventando famoso sul web. A quanto pare, Kimbo e DADA5000 erano amici d’infanzia, ma col tempo si sono trasformati in rivali, risolvendo (?) la questione a Bellator 149.

Nel video che abbiamo scelto, DADA5000 carica immediatamente il proprio avversario, trovando dei buoni colpi al volto che lo travolgono. Il malcapitato – un tizio chiamato “Dude”, che significa appunto Tizio , con una maglietta enorme che stranamente comincia l’incontro applaudendo mentre DADA5000 lo carica – perde la concezione di sé dopo appena 30 secondi dall’inizio della contesa e va giù una prima volta. Torna a combattere, agitando i pugni nell’aria mentre DADA5000 finta il destro per andare a segno con un gancio sinistro che lo manda di nuovo al tappeto. Dude a quel punto non vuole comprensibilmente tornare a combattere, anche perché poverino si tocca la bocca e forse perde del sangue, o ha perso un dente. Cose che forse poteva mettere in conto prima di accettare di partecipare a uno street fight. L’incontro finisce e parte del pubblico è delusa. Ecco perché, comunque, sono meglio gli incontri tra professionisti.

C’è un breve documentario del New York Times, Backyards Fight Club: Guns to Gloves , dedicato a un fight club imbastito da Chris Wilmore, detto “Scarface”, ad Harrisonburgh, in Virginia. Il fight club (tuttora attivo, a giudicare dal suo canale YouTube ) è nato con il compito di risolvere, con le mani e non con le armi, le questioni lasciate in sospeso tra gli abitanti della zona. Le regole sono semplici: due combattenti, tre round, vietato mordere, mettere le dita negli occhi, colpire la zona inguinale, insultare, tirare i capelli o consumare droghe. Qualunque sia il verdetto finale, la disputa dovrà considerarsi risolta.

Nel documentario c’è la storia di due tipi che hanno litigato per una storia di soldi, con uno dei due famoso per aver accoltellato e sparato ad altre persone in passato. Wilmore vuole trasformare la disputa in un mutual street fight prima che degeneri, ma alla fine riesce a risolverla senza neanche l’incontro.

Ma ci sono anche due ragazzi che se le danno di santa ragione perché uno dei due “parla troppo” dell’altro a scuola, e alla fine i due sembrano rispettarsi di più. Questo perché la condivisione reciproca di sangue e sudore, che sia con amici o nemici, riserva un’intimità che forse ha un valore a parte e che magari serve là dove non si trovano le parole giuste per risolvere la questione. Un’intimità che è reale solo per chi la vive, e che forse è il vero e unico punto in comune tra uno “street fight” e un incontro vero e proprio.

Giovanni Bongiorno scrive di MMA e ne parla nel podcast di MMA Talks.

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